mercoledì 20 aprile 2016

Lo stolto non ha ancora capito che deve guardare la luna, non il dito


Poveri vegetariani, sempre in affanno per la propria salute. Proprio adesso che la recentissima posizione sulle diete vegetariane della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) li aveva tranquillizzati sul fatto che anche in Italia non rischiano la tanto invocata carenza di ferro e proteine, ecco in arrivo un’altra preoccupazione: la dieta vegetariana provocherebbe una mutazione genetica che favorirebbe la comparsa di cancro e malattie cardiovascolari.
Sic et simpliciter.
Ma che strano. Gli studi epidemiologici condotti su centinaia di migliaia di vegetariani dicono l’esatto contrario: i vegetariani hanno un rischio sensibilmente ridotto di malattie cardiovascolari e tumori. E allora? Qualcosa non torna, forse anche quest’ultima storia è stata, “stranamente” mal raccontata. Chissà perché capita sempre che prevalga il pensiero paleologico quando dà la possibilità di mettere in guardia la popolazione dall’adozione di una dieta vegetariana, mentre l’enorme mole di dati che sostengono i molti effetti positivi sulla salute di questa dieta passa solitamente in sordina. «All'inizio eravamo contenti che le nostre ricerche suscitassero un tale interesse, poi ci siamo accorti che la maggior parte degli articoli raccontavano cose non vere» ha dichiarato il prof. Kaixiong Ye, uno degli autori. 

Vogliamo allora vedere insieme cosa dice veramente questa ricerca?

Va premesso che gli acidi grassi a lunga catena (LCPUFAs) non sono grassi essenziali, ma vengono sintetizzati dall’organismo, sulla base delle proprie necessità, per la produzione di molecole di regolazione e grassi strutturali del Sistema Nervoso. Questo avviene a partire dagli acidi grassi essenziali Alfa-Linolenico (omega-3) e Linoleico (omega-6) attraverso una via enzimatica (FADS) che, come tutte le attività metaboliche del nostro corpo, è regolata dai geni (DNA). FADS1 e FADS2 sono enzimi essenziali per questa conversione. Poiché i LCPUFAs possono essere assunti già preformati a partire da cibi animali, soprattutto marini, appare chiaro che chi ha una dieta che li fornisce direttamente (carnivori e pescivori) non avrà bisogno di efficienti meccanismi di conversione mentre chi, come i vegetariani, non assume LCPUFAs preformati, beneficierà di una via di conversione efficiente.

I ricercatori della Cornell University hanno giusto individuato una variante genetica che è evoluta nelle popolazioni che storicamente hanno seguito una dieta a base vegetale, e che rende più efficiente la conversione. Un differente allele di questo gene, che rende meno efficiente la conversione e quindi è adatta per una dieta a base di animali marini, è stata individuata negli Inuit, che consumano prevalentemente pesce.

Secondo i ricercatori si tratta di un polimorfismo genetico di natura adattativa, che appare essersi selezionato naturalmente in individui appartenenti a popolazioni storicamente vegetariane come gli Indiani (68%) rispetto individui USA, a dieta occidentale (18%). L’utilizzo di campioni appartenenti al Genomes Project ha confermato la prevalenza di questo polimorfismo favorente la sintesi endogena di LCPUFAs nel 70% di Sud Asiatici, 53% di Africani, 29% di Asiatici orientali, e 17% di Europei. Al contrario, negli Inuit della Groenlandia si è selezionata la variante differente, che rende meno efficiente la formazione di LCPUFAs. Questo perché questi soggetti ricavano questi acidi grassi direttamente dalla dieta, e quindi non necessitano di efficaci meccanismi di conversione, che anzi data la selezione naturale alla quale queste popolazioni sono state sottoposte, potrebbero essere lesivi per la loro stessa sopravvivenza.

Dice il prof. Brenna, maggior autore: «Nei vegetariani, la domanda fisiologica di LCPUFAs probabilmente ha favorito un corredo genetico in grado di supportare in modo efficiente la sintesi di questi metaboliti fondamentali». L’allele “vegetariano” si è quindi selezionato in popolazioni che hanno seguito diete a base vegetale per centinaia di generazioni. Questa variante si è affermata secondo la logica del vantaggio genetico che caratterizza l’evoluzione delle specie: è cioè vantaggiosa per l’organismo di chi basa la propria alimentazione prevalentemente su cibi vegetali.
«Si tratta di uno dei più interessanti esempi di adattamento locale. L’adattamento è dato dall’inserzione di un piccolo frammento di DNA di cui conosciamo la funzione. Questa funzione si è rivelata sfavorevole quando si è estesa alle popolazioni Inuit, provocando la selezione di individui che non la presentavano. E' quindi possibile che nella storia evolutiva umana e secondo le epoche, quando le popolazioni si sono spostate in ambienti diversi seguendo un regime vegetariano, o a base di pesce, ci sia stata un adattamento del gene in questione», dichiara sempre il Prof Kaixiong Ye.
Che è più complesso che affermare che "l'alimentazione vegetariana porta a delle modificazioni genetiche”.

«Molti articoli che parlano del nostro studio fanno errori», dice Alon Keinanmais, un altro degli autori. «Non è pericoloso essere vegetariani. Un individuo che arriva da una popolazione che è vegetariana da molte generazioni ha forti probabilità di avere questa variante che favorisce la sintesi dei LCPUFAs da parte dell’organismo. In quel caso il regime vegetariano è per lui la scelta migliore. Al contrario se questa persona mangia delle carni rosse regolarmente potrebbe avere dei livelli elevati di omega 6, che hanno effetti infiammatori e possono portare a malattia cardiache o ad alcuni tipi di cancro». E questo è un motivo in più perché rimanga vegetariano!!!!

Ricordiamo che le nuove linee guida dietetiche per vegetariani italiani raccomandano di mantenere il rapporto massimo di 1:4 nelle assunzioni di omega3-omega-6 della dieta.

Questo è possibile semplicemente:
-assumendo buone fonti di omega-3 (noci, semi di chia, semi e olio di lino)
-consumando gli altri grassi della dieta sotto forma di olio di oliva e limitando/abolendo il consumo di tutti i cibi animali (anche latticini e uova) e prodotti da forno industriali.


Vedi per approfondimenti http://www.piattoveg.info/omega3.html

Fonti: http://mbe.oxfordjournals.org/content/early/2016/03/09/molbev.msw049.abstract
http://www.news.cornell.edu/stories/2016/03/eating-green-could-be-your-genes
http://www.agoravox.it/La-dieta-vegetariana-non-fa-venire.html
http://www.today.it/scienze/dieta-vegetariana-mutazioni-genetiche.html
http://www.lescienze.it/news/2016/03/30/news/adattamento_genetico_dieta_vegetariana-3033472/

Luciana Baroni
15.04.2016
in memoria di mio padre

4 commenti:

Unknown ha detto...

Salve, mi chiamo Pistocchi Sandra, sono infermiera e mangio vegano da circa 3 anni, da un anno ho anche ridotto al minimo l'assunzione di glutine per un problema tiroideo. Globalmente sto molto bene, sono in forma e gli esami del sangue vanno bene.
La mia domanda è questa: una alimentazione vegetariana dove non c'è il gene per una adeguata conversione deve essere integrata con omega tre di origine algale o è sufficiente una buona quantità di olio di lino, noci ecc? Grazie




dr. Luciana Baroni, MD ha detto...

le raccomandazioni sugli omega-3 assicurano l'adeguata assunzione di questo nutriente. La fonte algale è necessaria solo nei primi 3 anni di vita, in gravidanza e allattamento.

mamma Rosalia ha detto...

Dottoressa ho una domanda e le sarei molto grata se volesse aiutarmi: Mio padre ha tolto recentemente un polipo vescicale che all'istologico si è rivelato essere un carcinoma. C'è qualche controindicazione all'assunzione di integratori di B12 in pazienti con storia di carcinoma? Il medico di base sostiene sia molto pericoloso e l'oncologo ha detto che "é meglio evitare". Gradirei il suo autorevole parere. Grazie

dr. Luciana Baroni, MD ha detto...

deve mandare la domanda a info@scienzavegetariana.it.
non risco a seguire accuratamente il blog.
carissimi saluti