domenica 23 dicembre 2007

Mangia come parli

di Maria Camilla Mayr


"Ecco, io vi dò ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto che produce seme: saranno il vostro cibo" (Genesi, I, 29).

Persino la solitamente algida wikipedia assume toni apocalittici quando deve parlare dei VEGETARIANI, coloro i quali non mangiano animali. Perché costoro, che aumentano di giorno in giorno, saranno anche pacifici ma certamente sono implacabili quando si tratta di fare proseliti. La tattica è discreta, ma d'altro canto come si fa a ordinare una tartare dopo che "loro" hanno spiegato a voce alta al cameriere che non mangiano animali di NESSUN tipo, dato che in Italia la domanda classica del cameriere è "allora se è vegetariana possiamo darle un bel pesciolino ai ferri?".

In compagnia dei vegetariani ci si sente dei cannibali e ogni boccone di carne sembra fatto di spine, soprattutto se mentre mastichi ti spiegano che la questione è semplice, che anche Paul McCartney dice che non si può mangiare ciò che ha un volto. Immediatamente parte la carrellata sulle facce degli animali che hai incontrato nella tua vita, anche di quelli che hai visto quando ormai erano sulla teglia, senza contare i pesci che hai dovuto controllare per la cottura "finché l'occhio non era fuori".

Ed è lì che capisci perché i vegetariani sono irritanti: perché riescono a fare quello che tutti dovremmo fare ma non ne abbiamo il coraggio o la forza di volontà. Provate a dire a dei bambini di cinque o sei anni "ecco un bel piattino di coniglio arrosto!" e nei loro sguardi inorriditi vedrete la strada da seguire.

"Verrà il tempo in cui l'uomo non dovrà più uccidere per mangiare e anche l'uccisione di un animale sarà considerata un grave delitto" (Leonardo da Vinci).

fonte GiudizioUniversale.it

domenica 2 dicembre 2007

"Chi sono i vegetariani?"

Breve "slide show" che mostra alcune foto di vegetariani noti del mondo dello sport, della cultura, dello spettacolo, oltre ad alcuni vegetariani e vegan "storici".

Lo trovi qui: "www.scienzavegetariana.it"

Disturbi del comportamento alimentare: Anoressia e Bulimia

di Luciana Baroni

I disturbi del comportamento alimentare sono un problema serio che, se non viene individuato e trattato in ambiente specialistico, può mettere a repentaglio la salute e la vita stessa di chi ne è affetto.

Le condizioni di chi ne è vittima sono terribili oltre che sul piano fisico anche sul piano psicologico, in quanto queste persone non solo perdono il piacere del cibo ma anzi, sono in completa balia di un rapporto aberrante con il cibo stesso, che diviene il loro incubo, il loro aguzzino: è un nemico da evitare, come nell’anoressia, oppure viene ingerito in modo coatto, come nella bulimia. Anche il rapporto con altre persone, soprattutto familiari preoccupati per la situazione, diventa conflittuale, e i contatti sociali si riducono.

Questo tipo di comportamento non è altro che la manifestazione di una grave sofferenza profonda, psichica o emotiva, che è quasi sempre condizionato da cause sociali (magrezza estrema come status symbol di bellezza) e psicologiche (depressione o fobie legate all’alimentazione, carenze affettive). Il corpo diventa lo strumento finale attraverso il quale questo disagio trova sfogo.

Anoressia nervosa

In questa malattia, che significa “perdita dell’appetito da cause nervose”, la persona affetta (spesso ragazza adolescente) tende a un ideale di magrezza irraggiungibile, e per far questo riduce drasticamente l’assunzione di cibo.

Questo tipo di disturbo può comparire infatti più facilmente in ragazze o giovani donne che siano convinte (non necessariamente a ragione) di avere problemi di peso in eccesso: la persona anoressica quindi non si sente mai magra abbastanza, e pur continuando a dimagrire afferma di essere troppo grassa, non riuscendo a riconoscersi nel proprio corpo.

Così, la paura ossessiva di ingrassare o il desiderio ossessivo di perdere peso si trasformano in un rigido controllo esercitato sull’alimentazione, che sopprime lo stimolo dell’appetito, in realtà sempre presente: il cibo viene assunto in maniera saltuaria, preferibilmente in solitudine, dando la preferenza ad alimenti a basso contenuto calorico. Quando queste persone sono costrette a mangiare in compagnia di altre persone, poi alla fine del pasto scappano in bagno cercando di vomitare tutto quello che hanno mangiato.

L'anoressia si esprime attraverso un controllo ossessivo delle calorie e del peso: pian piano la quantità di cibo assunta viene ridotta al limite della sopravvivenza, e l’organismo va incontro a denutrizione, diventando pelle e ossa. In certi casi la situazione è così grave che può portare alla morte.

Le conseguenze fisiche dell’anoressia sono infatti quelli della denutrizione, e includono magrezza estrema, stitichezza, unghie e capelli fragili, perdita e corrosione dei denti, pelle secca, difficoltà a mantenere un’adeguata temperatura corporea, alterazioni cardiovascolari e insufficienza renale. I flussi mestruali cessano e si sviluppa una precoce osteoporosi.

I segni psichici includono un terrore immotivato di ingrassare, una distorta percezione del peso corporeo e dell’aspetto del proprio corpo, vissuto come inadeguato-deforme (dismorfofobia). Viene compromessa anche la capacità di ragionamento e critica, con negazione del problema, e compaiono disturbi del sonno, modificazioni della personalità, depressione o sbalzi d’umore, ansia, irritabilità, introversione.

I segni comportamentali includono estrema restrizione della quantità e della varietà di cibo, autoprovocazione di vomito od assunzione di lassativi e diuretici, attività fisica intensa, il tutto al fine di eliminare le calorie/il cibo dal proprio corpo. Nonostante le precarie condizioni fisiche spesso è presente iperattività, il profitto scolastico è brillante, la persona non è mai stanca. Possono anche essere presenti comportamenti autolesionistici, con ferite in zone del corpo solitamente nascoste.


Bulimia nervosa

In questa malattia, che letteralmente significa “fame da bue”, la persona (solitamente donna), è costretta, al di là della propria volontà e indipendentemente dalla sensazione di fame, a ingerire freneticamente e in maniera coatta enormi quantità di cibo, nei confronti del quale si sviluppa una vera e propria dipendenza, molto simile a quella verso vari tipi di droghe (alcol, caffè, stupefacenti).

La persona bulimica tende a compensare il proprio disagio interiore mangiando in maniera indiscriminata, ma questo atto non viene vissuto come un piacere, come nell’obesità, bensì come una sconfitta. Questo comportamento, nei confronti del quale il soggetto mantiene senso critico, compromette pesantemente l’autostima e genera sensi di colpa devastanti che immediatamente impongono il ricorso a pratiche “correttive”: autoprovocazione del vomito, assunzione di lassativi e diuretici, pratica di un pesante allenamento fisico.

La differenza con l’anoressia è che in questo caso la persona vuole in qualche modo “riparare”, “correggere” le conseguenze di un comportamento che correttamente ritiene aberrante, del quale è responsabile in prima persona e che non ha saputo controllare: l’assunzione di cibo in eccesso, utilizzato solo come sostegno emotivo.

Alcuni segni fisici della bulimia includono frequenti oscillazioni del peso corporeo, mal di gola, erosione dello smalto dei denti e abrasioni sulle mani, pelle secca e disidratata, flussi mestruali irregolari, sonnolenza e stanchezza.

I segni psichici includono pulsioni incontrollabili ad assumere grandi quantità di cibo, oscillazioni dell’umore, ansia, depressione, ridotta autostima, sensi di vergogna e di colpa.

I segni comportamentali includono frenesia e vomito (frequenti ritiri al bagno per vomitare) periodi di digiuno, eccesso di attività fisica, tendenza ad appartarsi e rifiuto a socializzare, piccoli furti di cibo nei negozi, sottrazione di alimenti in casa.

Anche se la bulimia non è chiaramente visibile come l'anoressia, perché queste persone non presentano modificazioni del peso corporeo sospette e quando sono in compagnia mangiano normalmente, è una malattia con conseguenze altrettanto devastanti sulla vita e la salute di chi ne soffre.

Cosa fare?

Se una persona della tua famiglia, probabilmente tua figlia o tua moglie, manifesta uno o più d’uno di questi segni, non significa necessariamente che sia ammalata. Nella vita può succedere di attraversare momenti di inappetenza o di intenso desiderio di cibo; soprattutto durante l’adolescenza, tali fluttuazioni sono il più delle volte fisiologiche. Inoltre gli adolescenti hanno frequenti oscillazioni dell’umore, e possono cercare di modificare il loro aspetto anche mettendosi a dieta.

Tieni presente che una dieta vegetariana non è correlata in alcun modo a questo tipo di disturbi, ma è possibile che chi sta sviluppando un disturbo del comportamento alimentare lo “mimetizzi” spacciandosi per vegetariano: in questo caso, dovrà metterti in sospetto la scarsità del cibo che si mette nel piatto e la monotonia delle scelte.

In ogni caso, se sospetti che tua figlia o tua moglie si stiano discostando da quello che può essere definito come un “comportamento normale”, non esitare a chiedere aiuto e parlane subito con il tuo medico di famiglia. Ricordati che devi cercare di mantenere a tutti i costi il contatto con lei, e per far questo la regola principale è quella di non lasciare trapelare la tua preoccupazione nei suoi confronti, evitando quindi di insistere sul cibo e sul suo aspetto fisico, e lasciando che esprima liberamente le proprie emozioni.

Le probabilità di guarire completamente sono molto alte, specialmente se la malattia viene diagnosticata in tempo. Per il trattamento, che spesso è combinato, cioè indirizzato a risolvere i problemi nutrizionali e quelli psicologici, bisogna rivolgersi a Specialisti del settore di riconosciuta esperienza, altrimenti si corre il rischio di perdere tempo prezioso e di compromettere la soluzione del problema.

In Italia esiste una rete di Centri ospedalieri convenzionati con il SSN che offrono programmi per la terapia dei Disturbi Alimentari
http://www.salus.it/alim/anoressia15.html
http://www.vitadidonna.it/sanitapubblica_000056.html


Riassunto dei criteri per la diagnosi di anoressia nervosa (Secondo il DSM IV, il manuale Diagnostico e Statistico per la classificazione dei disturbi mentali)
1. Rifiuto di mantenere un peso normale generalmente al di sotto dell'85% rispetto a quello previsto in rapporto all'altezza e all'età (che viene mantenuto al di sotto di quello normale in modo volontario e con notevoli sforzi da parte del soggetto).
2. Intensa paura di aumentare il peso e di perdere il controllo, anche se si è al di sotto dei valori normali, a tal punto che anche un aumento di pochi etti può provocare profondo disagio e angoscia.
3. Nessuna preoccupazione per il sottopeso. La forma del corpo, la distribuzione del grasso diventano la fonte primaria di inquietudine, sino al punto che tutta l'esistenza e il comportamento del soggetto ne vengono pesantemente influenzati. Per cui l'umore, l'autostima dipendono direttamente dal peso.
4. Assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi (amenorrea) dovuti fisiologicamente al sottopeso, che comporta l'inabilità fisiologica a procreare.

intervista a Luciana Baroni su Idearadio.net



"I vantaggi di un'alimentazione a base vegetale per la salute"

Intervista alla dottoressa Luciana Baroni, medico e studiosa di nutrizione vegetariana, presidente di Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana.

Intervista andata in onda su Idea Radio Civitavecchia lunedi' 16 ottobre 2006 h.9.50.

Ringraziamo Idearadio.net per avercene concesso la pubblicazione

Info: www.radiopromiseland.it

martedì 6 novembre 2007

Vegetarismo ed età anziana

di Luciana Baroni

Nei Paesi industrializzati l’età media della popolazione sta aumentando, ed il numero degli anziani sta gradualmente prendendo il sopravvento. I nostri figli hanno una maggior probabilità rispetto a noi genitori di vivere a lungo. Ma vivere come?

Una vecchiaia in salute, che può durare anche più di una ventina d’anni, è una fase della vita di ciascun individuo che vale la pena di essere vissuta, in quanto unica nei suoi aspetti piacevoli (saggezza maturata, possibilità di utilizzo del tempo libero, superamento di molti obbighi e responsabilità), ed in quelli spiacevoli (solitudine, limitazioni fisiche, depressione). Vecchiaia non è sinonimo di malattia, ma il bilancio di questi due aspetti è governato dallo stato di salute, e con l’avanzare dell’età aumenta il rischio di malattia.

Solo una piccola parte di anziani riesce ad invecchiare sano, mantenendo l’autosufficienza fino alla fine e rimanendo presso la propria abitazione, anche perché spesso si tratta di donne che da sempre sono in grado di cavarsela benissimo da sole.

La stragrande maggioranza degli anziani invece arriva a questa età dovendo affrontare una serie di problemi di salute, solitamente cronici. Quando una malattia è “cronica” vuol dire che non guarisce, e può solo non peggiorare o peggiorare più lentamente se curata. L’insorgenza di nuove malattie croniche nello stesso individuo porta a totalizzare un “carnet” di malattie, e di relativi medicinali da assumere, che molto spesso supera lo spazio di memoria necessario per ricordarle.

Semplificando al massimo, una persona sarà “tanto più” ammalata, “tante più” o “tanto più gravi” sono le malattie dalle quali è affetta. Tanto più ammalato è un anziano, tanto peggiore sarà la sua qualità di vita.

Ad un certo punto scatta la condizione di non-autosufficienza, situazione terribile per la dignità umana e devastante -quando vissuta coscientemente dal soggetto- dal punto di vista psicologico: l’individuo non è più in grado di badare a sé stesso, di compiere le normali attività di tutti i giorni (cura della persona, mangiare, spostarsi) e dipende dall’aiuto determinante di un’altra persona, il caregiver (colui che presta l’assistenza).

La non-autosufficienza si instaura a causa di limitazioni fisiche che compromettono il movimento, per problemi mentali che limitano la capacità di autogestirsi o, come spesso accade, per la coesistenza di entrambi.

Le malattie più frequenti sono Artrosi, Arteriosclerosi ed Ipertensione con relative complicanze (ictus cerebrale con emiplegia, infarto del miocardio, arteriopatia periferica), Diabete, Osteoporosi, Parkinson e Demenza.

Altre frequenti malattie, i Tumori, compromettono lo scorrere della vita in fasi differenti: possono non permettere all’individuo di invecchiare, o farlo invecchiare vittima di enormi sofferenze.

Tutte queste patologie in varia ma non irrilevante misura sono prevenibili con l’Alimentazione. La loro incidenza risulta infatti nettamente superiore nei Paesi dove la dieta è ricca di prodotti animali e povera di cibi semplici. Nei Paesi dove la dieta si basa soprattutto su alimenti vegetali queste malattie sono molto meno frequenti od addirittura sconosciute.

Poiché gli anziani costituiscono la quota di popolazione “non produttiva”, il cui carico economico-assitenziale è affidato al resto della popolazione, è chiaro come sia di vitale importanza anche per la Società stessa che il maggior numero di individui diventi un anziano-sano.

Superare in buona salute i 65 anni è però qualcosa che non si improvvisa e che non dipende più di tanto dal destino, anche se un po’ di fortuna comunque non guasta. E’ qualcosa a cui ci si deve preparare “prima”, rispettando delle regole di vita sana.

In quest’ottica, una corretta Alimentazione Vegetariana, tanto più povera di cibi animali indiretti e tanto più precocemente abbracciata, è sicuramente una variabile determinante dello stato di salute dell’individuo. Solo per i tumori, è stato stimato che i circa 30-50% dei casi sia da ricondurre a fattori dietetici.

Ecco quindi come la Nutrizione Vegetariana rivesta a tutti gli effetti un ruolo di Prevenzione Primaria, alla stregua di altre misure in grado di controllare gli altri fattori di rischio di malattia (es. fumo), permettendo il mantenimento dello stato di Salute dell’individuo nel tempo, compatibilmente con le fisiologiche modificazioni dell’organismo dovute all’invecchiamento.

Ma l’Alimentazione Vegetariana ha molte potenzialità anche come misura di Prevenzione Secondaria proprio di quelle malattie tanto frequenti nell’anziano: è cioè in grado di rallentare od invertirne il decorso, una volta che si siano instaurate: questo è possibile per l’Arteriosclerosi (come dimostrato dagli studi del dr. Ornish sulla regressione della arteriosclerosi coronarica), il Diabete, l’Ipertensione, molti Tumori, l’Osteoartrosi. Una dieta Vegetariana è inoltre utile nella malattia di Parkinson, rallentando il percorso verso l’invalidità fisica.

La possibilità di riuscire a migliorare il decorso di queste malattie, permette di incidere sull’utilizzo di farmaci, spesso responsabili di effetti collaterali e vere e proprie malattie (denominate appunto “jatrogene”, cioè secondarie, in senso lato, all’intervento medico), oltre che essere una delle cause di dissesto finanziario dello Stato Sociale –se esiste- o del singolo individuo, che spesso deve rinunciare a mangiare od a riscaldarsi per potersi pagare le medicine.

A tutte le età, e fino alla fine, la vita deve comunque essere un evento “dignitoso”: alcune scelte di vita, tra le quali il tipo di Alimentazione, possono permettere di attraversare l’ultima non breve fase della nostra permanenza terrena con la gioia di “esserci”.

La dieta vegetariana in menopausa

di Luciana Baroni

La menopausa è stata a lungo identificata con la fine della vita attiva della donna, e in un certo senso con l’anticamera della vecchiaia e della morte. Si tratta invece di una delle tante fasi della vita, che si succedono costantemente, e che va vissuta e apprezzata per tutto quello che è e che può dare. Quello che può dare infatti la menopausa spesso costituisce addirittura un guadagno rispetto alle precedenti età: “…la donna a cinquant’anni è in grado di ricalcare pienamente il modello maschile: fortemente affermata sul piano lavorativo, economicamente indipendente, socialmente sicura,…e senza mestruazioni, che ancor più le toglie la differenza di genere. In pratica un’unisex con un vantaggio biologico rispetto all’uomo: quello di avere una prospettiva di vita più lunga e più sana (Chiechi LM: la menopausa nella società postindustriale-critica alla costruzione medica della menopausa, Aracne ed. 2006).
In quest’epoca della vita si verifica però una modificazione del metabolismo con riduzione del fabbisogno energetico e aumentata richiesta di alcuni nutrienti, e possono comparire alcuni disturbi che, indipendentemente dal processo di normale invecchiamento dell’organismo, dipendono precipuamente dal crollo dei livelli degli estrogeni circolanti, dovuti alla cessata attività ovarica.
Se la riduzione del fabbisogno energetico predispone infatti, come nell’uomo, al rischio di soprappeso-obesità, diabete e malattie cardiovascolari, il crollo degli estrogeni aumenta il rischio di osteoporosi e altera l’equilibrio del sistema nervoso autonomo, situazione nota appunto come sindrome neurovegetativa, il cui sintomo cardine sono le vampate di calore.
Per quanto riguarda l’osteoporosi, cioè la perdita di tessuto osseo, va chiarito che questa non colpisce in egual misura tutte le donne del Pianeta, ma privilegia quelle che vivono nei Paesi occidentali. E’ infatti una patologia a genesi multifattoriale, ma che sostanzialmente si sviluppa in condizioni che favoriscono una perdita di calcio dall’organismo (cioè il bilancio negativo di questo minerale) e che dipendono in gran parte dall’ambiente e dallo stile di vita. Se l’assunzione di adeguate quantità di calcio è importante, nella misura di almeno 550 mg al giorno, l’evidenza scientifica non supporta il ruolo di elevati consumi di latte e derivati nella prevenzione dell’osteoporosi. Appare per contro di primaria importanza il controllo di quei fattori che sottraggono –direttamente o indirettamente- calcio all’organismo: tra questi, al primo posto si collocano gli elevati consumi di proteine soprattutto da fonte animale, seguiti da elevate assunzioni di fosforo, sale, caffeina, alcol. Il ruolo dei fitoestrogeni appare ancora controverso, ma questo probabilmente dipende solo dal fatto che gli studi clinici non sono stati in grado di riprodurre l’effetto di queste sostanze nel contesto di una dieta che naturalmente li contenga in abbondanza, cioè una dieta a base vegetale, che è oltretutto ricca di frutta e verdura, gli unici cibi il cui consumo si è dimostrato realmente in grado di proteggere nei confronti dell’osteoporosi.
La sindrome neurovegetativa colpisce la gran parte delle donne occidentali, mentre ha una bassa incidenza per esempio nelle donne asiatiche. Essa sembra riconducibile a un’alterazione dei livelli cerebrali di neurotramettitori, in particolar modo di serotonina, fatto che altera i meccanismi di controllo della temperatura corporea: si innescano reazioni atte ad abbassarla anche in condizioni che di fatto non lo richiedono, attraverso vasodilatazione cutanea (la vampata) e le sudorazioni notturne. Poiché i livelli di serotonina vengono aumentati da ridotte assunzioni di proteine e aumentati introiti di carboidrati nella dieta, è chiaro come le diete e base vegetale siano in grado di agire favorevolmente su questo disturbo tipico della menopausa. Al loro effetto contribuisce anche l’elevato contenuto di fitoestrogeni, che possono agire sia sui recettori estrogenici che come antiossidanti, unitamente alle molte altre sostanze antiossidanti contenute nelle diete a base vegetale.
Per concludere quindi, ritengo che una dieta a base vegetale, per le caratteristiche rapidamente tratteggiate, possa essere d’aiuto alla donna in menopausa, perché in grado di proteggerla dai piccoli “grandi fastidi” di questa fase, ma soprattutto perché strumento potente di prevenzione del soprappeso, del diabete, delle malattie cardiovascolari e del tumore alla mammella, nonché probabilmente dell’osteoporosi. Provare per credere!

L’ipertensione

di Luciana Baroni


L’ipertensione è una malattia cardiovascolare molto diffusa nei Paesi occidentali, che colpisce 1 miliardo di persone al mondo. In Italia 1 adulto su 3 è iperteso, ma la malattia sta comparendo anche tra i giovani: il 10% dei ragazzi in sovrappeso è infatti iperteso, e i ragazzi in sovrappeso sono circa il 35%!

Anche se chi è iperteso può non avere nessun disturbo, ha però un rischio aumentato di complicazioni vascolari: 3 volte per l’infarto del miocardio, 5 volte per l’insufficienza cardiaca, 8 volte per l’ictus cerebrale. L’ipertensione inoltre predispone all’insufficienza renale ed a danni retinici, che possono condurre alla dialisi e alla cecità. Nel mondo l’ipertensione arteriosa è causa ogni anno di 500.000 casi di ictus cerebrale e 1.250.000 casi di eventi coronarici acuti!

Nel 5-10% dei casi l’ipertensione è secondaria a specifiche malattie (soprattutto renali, tumorali e ormonali), mentre nel 90-95 % dei casi si definisce “essenziale”, cioè non è possibile identificarne la causa. Sebbene l’ereditarietà giochi un ruolo nella sua comparsa, è ormai ben stabilita l’influenza rilevante esercitata dalla dieta e dalle altre abitudini dello stile di vita.

I valori della pressione normale variano a seconda dell’ora della giornata, dello stato emotivo, dell’attività fisica esercitata e dell’età, ma non devono superare il valore di 120/80 a riposo (valori ottimali). Si parla di ipertensione quando i valori pressori risultino stabilmente superiori a 140/90. L’intervallo intermedio di valori, tra quelli ottimali e quelli elevati, viene definito “pre-ipertensione”, e richiede un approccio non-farmacologico che si basa sulle modificazioni dello stile dei vita (TLC, Therapeutic Lifestyle Changing).

Nell’ipertensione, invece, il trattamento farmacologico va sempre commisurato al rischio vascolare legato alla coesistenza di altre situazioni, ma non può e non deve sostituire le TLC, ma aggiungersi ad esse. La maggioranza dei pazienti ipertesi può infatti beneficiare anche solo dei cambiamenti dello stile di vita che riducono la pressione, e che aumentano l’efficacia dell’eventuale terapia antipertensiva.

L’ipertensione risulta essere significativamente meno comune tra i vegetariani dei Paesi Occidentali, e alcuni studi hanno dimostrato come una dieta a base di cibi vegetali sia in grado di mantenere nei limiti della norma i valori di pressione arteriosa, e di abbassare fino a normalizzarne i valori negli ipertesi.

Ecco le regole principali che devono essere adottate da tutti gli ipertesi, per normalizzare i valori pressori o per ridurre il ricorso ai farmaci:

1-Adottate di una dieta molto povera di grassi e ricca di frutta e verdura, che permette di ridurre la pressione di 8-14 mmHg. Mangiate in abbondanza frutta e verdura fresche e crude, e cucinate poco le verdure, lasciandole croccanti: saranno già gustose così al naturale e aumenteranno le riserve di potassio, che aiuta a ridurre la pressione.
2-Riducete il peso corporeo, puntando a raggiungere valori normali (cioè compresi tra 18.5 e 24.9 di Indice di Massa Corporea-BMI). Spesso, questa è l’unica misura necessaria per correggere l’ipertensione. Infatti, per ogni 10 kg persi, la pressione si abbassa di 5-20 mmHg. E’ fondamentale scegliere cibi a bassa densità calorica, che cioè in grandi volumi concentrino poche calorie: queste caratteristiche sono possedute dai cibi vegetali consumati al naturale, quindi ricchi di acqua, fibre e poveri di sostanze aggiunte come grassi e zuccheri (nonché sale).
3-Riducete il sale nella dieta, cercando di non superare un cucchiaino di sale (5-6 g) al giorno. Non utilizzate la saliera, e cercate il sale “nascosto” nei cibi prodotti industrialmente, leggendo l’etichetta (evitare cibi che riportano tra i primi cinque ingredienti termini come “sale”, “sodio”, “sodico”, preferire i prodotti “senza sale aggiunto”). Imparate ad insaporire i cibi con succo di limone, prezzemolo, origano, aglio o cipolla. Nei molti soggetti sensibili al sale, questo riduce la pressione di 2-8 mmHg.
4-Praticate regolare attività fisica aerobica (camminare a passo veloce, nuotare), che riduce le resistenze arteriose periferiche. Una banale passeggiata a passo veloce di 30 minuti al giorno permette di ridurre la pressione arteriosa di 4-9 mmHg. Inoltre, un regolare esercizio fisico è fonte di benessere e migliora lo stato di salute generale. Attenzione va invece posta, soprattutto in chi è già iperteso, all’esercizio isometrico (es. sollevamento pesi), che al contrario agisce aumentando le resistenze periferiche e quindi i valori pressori.
5-Eliminate l’alcol: oltre a giovare a molti altri organi, questo permette di ridurre la pressione di 2-4 mmHg. L’alcol, anche se consumato con moderazione, può influenzare il 5-15% di tutti i casi di ipertensione.
6-Controllare lo stress e ridurre/abolire le sostanze voluttuarie che agiscono sfavorevolmente sulla pressione, come il fumo e il caffè, sono infine un particolare che completa un efficace approccio igienico all’ipertensione.

Anche se la correzione delle abitudini di vita che rappresentano fattori di rischio di ipertensione risulta essere un l’intervento decisamente più difficile che somministrare alcune pillole, risulta tuttavia il più efficace, duraturo ed economico in termini di salute pubblica, perché il più naturale.

Ma si può mangiare con soddisfazione anche se si è ipertesi, con piatti poveri di sodio e di grassi, da completare con frutta e verdura fresche!

lunedì 5 novembre 2007

L’importanza di quello che beviamo

di Luciana Baroni

L’acqua è la sostanza più importante fornita dalla dieta, in quanto è il principale componente dell’organismo umano (75-80% del peso corporeo del neonato e il 55-60% di quello di un adulto). L’assunzione di acqua è regolata dal meccanismo della sete, che a volte può essere poco efficace, soprattutto nell’anziano: è il motivo per cui bisogna cercare di bere, durante la giornata, anche se non si ha sete. Infatti, per mantenere l’equilibrio idrico è necessario che le entrate di acqua equivalgano o superino le perdite. Considerando l’acqua contenuta naturalmente negli alimenti e quella prodotta dall’organismo durante i processi metabolici, si consiglia di bere almeno 1 ml di acqua per ogni caloria assunta.

Quest’acqua può essere assunta come acqua pura ma più spesso, nelle società occidentali, viene assunta sotto forma di bevande contenenti o meno zuccheri, alcol, additivi vari, che non hanno per lo più carattere di nutriente e possono per contro contribuire paradossalmente ad aumentare le necessità di acqua dell’organismo (come caffeina e alcol, che hanno effetto diuretico), nonché ancor peggio l’apporto calorico totale. Secondo una recente stima condotta negli USA, nella fattispecie esse contribuiscono al 21% delle calorie della dieta, e a circa la metà delle calorie in eccesso assunte.

E’ chiaro quale possa essere quindi l’importanza di questi prodotti nell’incidenza del sovrappeso-obesità che sta stravolgendo tutto il mondo occidentale e come sia possibile, attraverso l’educazione al consumo delle bevande (transizione dall’utilizzo di bevande caloriche a quello di bevande poco o non-caloriche, riduzione del numero e delle dimensioni delle porzioni), influenzare positivamente la salute.

Recentemente è stato emanato un Panel sul consumo di bevande da parte di un gruppo internazionale di studiosi, pubblicato sull’AJCN di marzo 2006, che analizza e “classifica” tutte le bevande, alcoliche e non, a seconda del contenuto calorico, della presenza o meno di nutrienti, e del rapporto rischio-beneficio per la salute.

Partendo dalla constatazione che:
-i fluidi hanno uno scarso potere saziante e quindi possono falsare i meccanismi di autoregolazione che si basano sul senso di sazietà, portando ad introdurre cibo in eccesso;
-le calorie provenienti dai fluidi sembrano possedere un maggior potere “ingrassante” rispetto a pari quantità di calorie provenienti da cibi solidi,
gli Autori sanciscono che in una dieta equilibrata i nutrienti e le calorie devono idealmente essere forniti totalmente dai cibi solidi: ne deriva nessuna bevanda, ad eccezione dell’acqua, risulta essere essenziale. Le varie bevande possono essere classificate in 6 livelli:

Livello 1: acqua.
Nutriente essenziale in sé, ma che può contribuire all’apporto di alcuni minerali in forma ben assimilabile.

Livello 2: the e caffè (non zuccherati).
Il the è una buona fonte di micronutrienti (soprattutto Fluoro) e sostanze con effetti benefici per la salute (flavonoidi, antiossidanti, teanina). Anche se il caffè può influenzare negativamente alcuni fattori di rischio vascolare (pressione arteriosa, LDL e omocisteina), il suo consumo appare correlato con un ridotto rischio di sviluppare diabete mellito tipo 2, mentre altri effetti sono ancora controversi. La ricerca comunque suggerisce di non superare assunzioni di caffeina di 400 mg al dì (300 nella donna in gravidanza). L’aggiunta di dolcificanti calorici, panna, latte, nonché l’utilizzo di bevande pronte dolcificate contenenti caffè o the, fanno retrocedere queste bevande ai livelli successivi.



Livello 3:bevande a base di latte parzialmente e totalmente scremato e quelle a base di soia (inclusi gli yogurt).
Contengono nutrienti essenziali (soprattutto calcio) e sono una buona fonte di proteine; tuttavia questi nutrienti possono tranquillamente venire ricavati da altri cibi solidi (soprattutto frutta e verdura-ortaggi), anche in considerazione di alcune controversie sul latte vaccino, e che vanno tenute in considerazione quando si valuti l’impatto globale di questo alimento sulla salute della popolazione (aumentato rischio di tumore prostatico e dell’ovaio, intolleranza al lattosio).

Livello 4: bevande dietetiche.
A base di acqua, aromatizzate, colorate e dolcificate con prodotti non calorici. Se sono in grado, quando sostituite alle bevande non dietetiche, di favorire la perdita di peso, sono però anche responsabili di condizionare il senso del gusto e creare l’abitudine al dolce, riuscendo così a dirottare pesantemente le scelte dei consumatori verso l’assunzione di prodotti dolci calorici.

Livello 5: bevande che apportano nutrienti e calorie. -Succhi di frutta e di verdura, che apportano molti importanti nutrienti ma essendo deprivati di fibre, di alcuni nutrienti labili e con un volume ridotto NON devono essere preferiti ai cibi interi né tanto meno devono sostituirli.
-latte intero, che ha un elevato contenuto di calorie e grassi saturi.
-bevande per gli sportivi, altamente caloriche, contengono piccole quantità di minerali e il loro utilizzo va limitato agli sport di resistenza, mentre si raccomanda cautela in tutti gli altri casi.
-bevande alcoliche (vino, birra, cooler, superalcolici), che se consumate in modiche quantità possono avere negli adulti alcuni vantaggi per la salute, riferibili essenzialmente alle proprietà dell’alcol (una riduzione degli eventi vascolari, del rischio di diabete tipo 2 e di colelitiasi). L’alcol però, oltre ad essere una bevanda calorica, può dare dipendenza, è responsabile di comportamenti socialmente pericolosi e di circa il 50% degli incidenti stradali e favorisce la comparsa, anche a basse dosi, di cancro della mammella e di malformazioni fetali e a dosi più elevate lo sviluppo di altri tipi di cancro (esofago, cavo orale, laringe, fegato), di danni al parenchima epatico, demenza, emorragie digestive e ictus emorragico, ipertensione e cardiomiopatia. Il limite che si ritiene consigliabile non superare è di 2 Unità Alcoliche al giorno per l’uomo e 1 per la donna (dove 1 UA equivale a 12 g di alcol, pari a 125 cc di vino, 1 lattina di birra o 40 cc di superalcolico). Si raccomanda, a chi non sia già un abituale consumatore, di NON iniziare ad assumere alcol in virtù dei suoi supposti effetti “benefici” per la salute.

Livello 6: bibite dolci caloriche.
Sono il prototipo delle “empty calories” (una lattina da 330 mL apporta circa 130 kcal), ottenute da acqua, coloranti, aromatizzanti e zucchero naturale, vanno consumate con estrema moderazione, essendo correlate con aumento ponderale, carie dentali e diabete tipo 2, osteoporosi. Il fenomeno è aggravato dall’introduzione delle “Supersize”, cioè delle porzioni giganti.

Teoricamente, la quota di liquidi della dieta può essere fornita per il 100% da acqua (pari a zero calorie), ma si ritiene accettabile un limite massimo di calorie del 14% a partire dalla bevande. Ecco di seguito l’esempio di circa 2900 mL di fluidi, e relative calorie da bevande del 14%, delle quali il 9% proviene dalle bevande del Livello 3: rimangono quindi solo una quota di calorie da bevande caloriche dei livelli 4-6 del 5%, pari a 114 kcal!

Livello 1: 1500 mL (range 600-1500 mL), circa.
Livello 2: 840 mL (range 0-1200 mL), circa, mantenendo la caffeina <400 mg.
Livello 3: 480 (range 0-480 mL) circa
Livello 4: 0 (range 0-960 mL).
Livello 5: 120 mL (range 0-240 mL) circa, per i succhi; 0 per il latte intero, 0 per l’alcol (range 0-1 UA per la donna e 0-2 per l’uomo).
Livello 6: 0 (range 0-240 mL).

per approfondimenti:
Proposta di una nuova guida per il consumo delle bevande negli USA.

Come proteggere con lo stile di vita la salute dell'osso

di Luciana Baroni
Il tessuto osseo è il costituente dello scheletro, l’“impalcatura” che sì, cresce con noi e sostiene il peso dei nostri organi e tessuti, ma che è soprattutto la “banca del Calcio”, minerale indispensabile per la funzione di nervi, cuore, muscoli e cervello. L’osso è un tessuto vivo, in continua trasformazione per l’incessante e simultaneo sovrapporsi di processi di riassorbimento e di ricostruzione. Fino al raggiungimento del “picco di massa ossea” (massimo sviluppo dell’osso, attorno ai 35 anni di età), i processi di costruzione prevalgono su quelli di assorbimento. In seguito i processi di costruzione si riducono, e prevalgono i processi di riassorbimento: ciò causa una progressiva perdita di massa ossea, che entro certi limiti può tuttavia essere considerata “normale” invecchiamento.
Ma se questa perdita è di tale entità da rendere l’osso debole e a rischio di rottura, allora questa condizione diventa una malattia, l’Osteoporosi, che decorre asintomatica per molti anni, finché non causa fratture spontanee o provocate da traumi banali a carico di vertebre, coste, polso e soprattutto femore. E’ ben noto come la frattura di femore sia una situazione tutt’altro che infrequente e molto grave, in quanto può portare a morte od invalidità permanente.

L’importanza dello Stile di Vita deriva proprio dal fatto che le principali abitudini che lo compongono (dieta, esercizio fisico, tabacco, caffè ed alcool), sono in grado di influenzare la Salute dell’osso, agendo sia sulla deposizione che sul mantenimento di Calcio nell’osso. Vediamo come.

1. La Dieta: tutti sanno che per prevenire l’Osteoporosi bisogna assumere molto Calcio. Bene, non è proprio così. Ci sono Popolazioni (come in Asia o nell’Africa nera), che assumono pochissimo Calcio dagli alimenti, eppure non conoscono l’Osteoporosi. Altre Popolazioni (come quelle Occidentali o gli Eskimesi), che assumono enormi quantità di Calcio, ma presentano un tasso di Osteoporosi elevatissimo. Non è quindi solo un problema di quantità di Calcio. Il problema è quello di ottenere il Calcio dagli alimenti in modo tale che almeno una parte di quello introdotto rimanga all’interno dell’organismo. Alcuni componenti della dieta sono infatti responsabili di rubare Calcio all’osso, in quanto provocano l’eliminazione di grandi quantità di Calcio dall’organismo.
Le Proteine, fondamentali per la crescita dell’osso, quando in eccesso ne provocano la demolizione, in quanto per “neutralizzare”gli scarti acidi una grande quantità di Calcio deve essere immesso nelle urine: Calcio sottratto allo scheletro, che viene così irrimediabilmente perduto. Sono i cibi animali i più dannosi, primo perché ricchi di Proteine, secondo perché le Proteine animali sono le più acide. I derivati del latte contengono molto Calcio ma anche molte Proteine animali e molto Fosforo, e la quantità di Calcio che rimane all’organismo una volta sottratte le perdite è molto scarsa se non addirittura nulla. Carne e pesce contengono, oltre a molte Proteine animali, poco Calcio e molto Fosforo, provocando sempre e senza scampo perdita di Calcio dall’organismo. Così agisce anche il Sale, e non solo quello da cucina, ma anche tutto quello contenuto nei cibi animali confezionati.
Le migliori fonti alimentari di Calcio sono di origine vegetale: verdure a foglia verde e legumi (greens & beans), sono ricchissimi di Calcio oltre che fonte di altri importanti Nutrienti. I cibi vegetali in genere contengono inoltre adeguate ma non eccessive quantità di Proteine, sono poveri di Sodio, ricchissimi di Potassio e quindi in grado di “neutralizzare” l’acidità delle urine mantenendo od aumentando il contenuto di Calcio nell’osso. I cibi a base di soia contengono delle sostanze fitochimiche, gli Isoflavoni, che hanno la proprietà esclusiva di agire come gli estrogeni ma possono esercitare effetti protettivi sull’osso e sui tessuti ormono-sensibili.

2. L’esercizio fisico: E’ noto a tutti come gli astronauti nello spazio perdano massa ossea in assenza di gravità, così come anche solo un arto, immobilizzato magari per una frattura, possa perdere in qualche settimana molta massa ossea. Le persone sedentarie sono a rischio elevato, mentre le persone che praticano attività sportiva mantengono una buona massa ossea nell’arco di tutta la vita. La pratica di regolare esercizio fisico è fondamentale per mantenere il Calcio a livello dell’osso. Lungi dal pensare di diventare tutti degli atleti, è importante a tutte le età cercare di mantenersi fisicamente attivi, dedicando almeno 1 ora della giornata ad una passeggiata all’aria aperta: oltre che sollecitare in modo positivo l’osso, esporsi ai raggi solari permette di mantenere adeguati i livelli della Vitamina D, che si forma nella pelle (anche solo del viso o delle mani) e che è pure importantissima per la Salute dell’osso.

3. Le abitudini voluttuarie (alcool, caffeina e tabacco) aumentano molto il rischio di fratture, ma non solo, esistono moltissimi validi e noti motivi per cui chi è dedito a queste sostanze si decida a ridurne o evitarne l’uso.

Comportarsi in modo da mantenere un osso sano per tutta la vita è quindi possibile e raccomandabile, ed è qualcosa che è utile anche per la prevenzione delle altre malattie croniche legate allo stile di vita (Obesità, Diabete, Ipertensione, Cancro, Arteriosclerosi, Artrosi, Demenza, Malattia di Parkinson) che stanno dilaniando le nostre “Società del benessere”.

La dieta Vegetariana per la salute

di Luciana Baroni

Tra le ragioni che stanno alla base della scelta, da parte di un numero sempre maggiore di individui, di aderire ad una dieta Vegetariana, la motivazione salutistica sta assumendo sempre maggior importanza. Ormai disponiamo di oltre mezzo secolo di Studi Scientifici che dimostrano come questa scelta alimentare eserciti effetti positivi sul mantenimento dello Stato di Salute, inteso come assenza di Malattia.

Da moltissime fonti medico-scientifiche, la maggior parte non-pro-vegetarismo, la dieta più valida per la Salute è ritenuta quella ricca in Carboidrati, povera in Grassi e moderata in Proteine. L'aumento dell'assunzione di cereali integrali, frutta e verdura è raccomandato per il controllo del peso corporeo e per la prevenzione di Malattie quali il cancro e le cardiopatie. Ma per poter realizzare questo tipo di linee guida, anche se non detto in modo esplicito, la dieta deve essere quasi totalmente basata su cibi di origine vegetale.

Questo tipo di dieta permette infatti di utilizzare cibi naturali, cioè cibi che non vengono sottoposti a quei processi di trasformazione ai quali solitamente vanno incontro i prodotti in commercio. Questi alimenti vengono per lo più consumati ad uno stato molto vicino a quello naturale, nel quale è salvaguardato il contenuto originale di Nutrienti (vitamine, minerali, sostanze fitochimiche), cioè sostanze che possiedono effetti benefici per la Salute, e che vengono totalmente o quasi perdute durante il processo di lavorazione, nel corso del quale vengono inoltre aggiunte sostanze nocive (coloranti, conservanti).

Questi alimenti, nello stato in cui si trovano in natura, sono ricchi di fibre, di acqua, carboidrati e poveri di grassi (nei cibi vegetali il colesterolo è assente), di Proteine animali e di calorie.

Sono quindi cibi che possono essere assunti in quantità più che adeguate a saziare la fame, senza rischiare di incorrere nel rischio di sovrappeso, diabete, dislipidemie.

Inoltre, l’assunzione di Proteine con questo tipo di cibi è più che adeguata al rispetto del fabbisogno giornaliero. Per contro, l’eccessiva assunzione di Proteine, evento obbligato nelle diete basate su cibi animali, oltre a richiedere un notevole dispendio energetico per l’assorbimento e digestione di questi Nutrienti, è correlata a malattie comuni come ad esempio l’osteoporosi ed alcuni tipi di tumore. Ma soprattutto l’assunzione di Proteine animali è sempre associata con l’assunzione di grassi animali nocivi, cioè i grassi saturi ed il colesterolo.

Siamo di fronte ad un vertiginoso aumento dell’incidenza di obesità, diabete, artrosi, osteoporosi, cancro e malattie cardiovascolari. Queste malattie, ribattezzate “malattie del benessere”, sono malattie da eccesso di cibo, eccesso tale da divenire dannoso. Nell’arco di un solo secolo, lo spettro della morte per fame è stato sostituito, nelle nostre “civiltà”, dallo spettro delle morte per malattie sempre più diffuse, e prevenibili quasi esclusivamente con un adeguamento dello stile di vita.

L’arteriosclerosi, che inizia a lesionare le pareti delle arterie già nell’infanzia, è prevenibile e ne può essere invertito il decorso esclusivamente con la dieta. Dieta priva di colesterolo ed a basso contenuto di grassi saturi, cioè dieta basata su alimenti di origine vegetale (plant-based-diet).

Parlando di Salute, anche l’assunzione di cibi animali indiretti, quali latticini ed uova, è assolutamente da evitare, trattandosi di cibi, dal punto di vita salutistico, forse più dannosi ancora di carne e pesce.

Dieta Vegetariana significa mangiare sano e variato, rispettando quella che è la natura dell’uomo (che per dentatura e lunghezza dell’intestino NON è certamente un carnivoro) oltre all’ambiente ed all’ecosistema del quale esso è parte integrante.

domenica 4 novembre 2007

2050 fuga dalla carne: l'Italia sarà vegetariana

I fan di questo tipo di alimentazione sono ormai tre milioni
L'avvertimento dell'Eurispes: a metà secolo saranno la maggioranza

di LICIA GRANELLO - L'Espresso 9 ottobre 2002

MILANO - Vegetariani di tutto il mondo unitevi. Sapendo di essere tanti, tantissimi. Una diffusione tanto possente e inaspettata da indurre il settimanale "Time" a dedicare il servizio di copertina di questa settimana all'argomento, con tanto di domanda obbligata: "Dovremmo essere tutti vegetariani?".

La questione è apertissima e così contraddittoria da scatenare reazioni e umori opposti all'estremo. Ma mentre ci interroghiamo, il numero di chi chiude i rapporti con macellerie e affini s'innalza in maniera esponenziale da una parte all'altra del mondo, Italia compresa. Secondo gli ultimi dati dell'Eurispes, infatti, in meno di tre anni (dal '99 a oggi) siamo passati da un milione e mezzo a quasi tre milioni di vegetariani. Che sono, nella grande maggioranza vegetariani cosiddetti "spuri", cioè consumatori di latticini, uova e pesce (di una o di tutte le categorie, a seconda dei casi), ma comunque abbastanza specifici, nel loro nuovo approccio alimentare, da esser considerati una tribù sociologica di tutto rispetto.

Secondo "Time", l'esplosione del movimento vegetariano ha cause tanto diverse da non essere riconducibile a un singolo evento. Così, se in Europa il numero degli anti-carne è cresciuto insieme al divampare dello scandalo Bse, negli Stati Uniti il puzzle è costituito da frammenti per noi meno usuali. Il fenomeno dell'obesità dilagante - con l'hamburger sul banco degli accusati - ha indotto soprattutto gli adolescenti a identificare la carne come orribile dispensatrice di calorie e quindi a negarla, dentro e fuori il canonico superpanino imbottito (con immediata comparsa dell'hamburger vegetariano). L'equazione magro uguale vegetariano, dicono comunque gli esperti, è tanto più pericolosa quando si pensa alla quantità di salse, fritti e dolci che esulano dal mondo animale....

Altro deterrente al consumo di carne, la "personificazione" degli animali, meccanismo che ha origine nei primissimi lungometraggi di Walt Disney, giù giù fino ai film dedicati al maialino Babe. Negli States, la gadgetteria legata ai cartoni animati è parte integrante della quotidianità infantile, dai portamatite ai peluche. Quale bambino cresciuto davanti alla televisione può pensare di addentare serenamente un cosciotto in tutto simile a quello di Bugs Bunny o una fetta di mucca Clarabella? Il tutto, senza scordare il forte valore etico della scelta vegetariana, secondo la quale le coltivazioni per il foraggio destinato agli animali da macello potrebbero essere riconvertite per sfamare chi ne ha bisogno.

Più prosaici, ma egualmente sensibili ai guai da malalimentazione, gli italiani hanno a loro volta cominciato a spingere vigorosamente sul pedale della dieta senza carne, con risultati ormai evidenti in termini sociali e commerciali: alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di tofu o di bistecche di soia. In quanto ai ristoranti, l'ultimo censimento dell'associazione vegetariani ne ha schedati più di trecento, a cui aggiungere i moltissimi, che ormai vantano stabilmente in menù una buona scelta di piatti liberi da proteine animali. La dieta mediterranea, da questo punto di vista, ci offre ampie garanzie: tra paste e risotti, difficile rischiare l'antisocialità per questioni di piatti.
I dubbi sono altri. S'inquietano, i genitori, di fronte ai figli adolescenti reticenti davanti alla bistecca: siamo cresciuti con la mamma che tagliava pazientemente a bocconi l'immancabile fettina, possibile che si possa crescere bene anche senza? I nutrizionisti, per una volta tutti d'accordo, sostengono che si può. A patto di utilizzare proteine alternative, dai latticini ai legumi (a seconda se si è vegetariani più o meno integrali).

I numeri, del resto, danno loro ragione: secondo l'Eurispes, entro la metà del secolo in Italia i vegetariani saranno trenta milioni, superando così il numero dei carnivori. E per i dannati della bistecca saranno tempi durissimi.

Nelle verdure troviamo tutto quello che serve

Intervista a Libero Vianello, medico vegetariano
La Repubblica - 9 ottobre 2002


MILANO - Libero Vianello, medico olistico, è vegetariano, "ma non fanatico, perché per cambiare le storture della società bisogna starci dentro".

E quindi?
"La carne non la compro mai, non c'è nessuna necessità di mangiarla. Tutti gli elementi nutrizionali che servono all'uomo sono inseriti nel mondo vegetale. In casi estremi, la mangio, quasi per mettermi alla prova. Ma succede talmente di rado...".

I suoi pazienti sono vegetariani?
"Non esistono obblighi, ma scelte e indicazioni. Personalmente, penso che la dieta vegetariana possa anche essere molto allettante, a patto di risultare molto varia, andare con le stagioni, e quindi offrire profumi, sapori, perfino colori diversi, altrimenti diventa noiosa".

Scelte alimentari, ma anche di vita.
"Certamente. Come divenire dell'umanità, siamo in una situazione insostenibile. Dobbiamo coltivare enormi estensioni di campi da foraggio per nutrire le bestie che poi ci mangiamo. Se fossimo tutti vegetariani, il problema della fame sarebbe già risolto: coltiveremmo solo per soddisfare le nostre esigenze, e alleveremmo gli animali per il piacere di averli con noi".

In termini pratici?
"Se non vogliamo fare della filosofia, diciamo che dietro agli allevamenti intensivi ci sono dei segreti orrendi. Non a caso, anche di mucca pazza si continua a sapere ben poco. Come medico, riscontro un numero sempre maggiore di casi di malattie degenerative, dall'Alzhaimer al Parkinson, senza contare l'innalzamento esponenziale di allergie e intolleranze. Tutto questo deriva in gran parte dalle sofisticazioni pazzesche - dagli inquinanti ai farmaci - che si concentrano nei tessuti animali. Secondo l'Oms, l'apporto di proteine ideale quotidiano è pari a mezzo grammo prochilo corporeo. Il resto, è tutto carico in più da smaltire.".

Torniamo alle ragioni etiche.
"Il nome animale significa che ha un'anima. E allora lo rispetto e non lo mangio".

Lunga vita è servita

Proteggere le ossa con il calcio, il sangue con il ferro. Controllare l'insulina con le fibre. Dalla scienza le regole della buona tavola
di Paolo Pernigotti - L'Espresso

È finito il tempo delle buone quanto banali norme della nonna. Oggi quel che si deve mettere in tavola per vivere il più a lungo possibile in buona salute lo decretano gli scienziati armati di decine di studi clinici che provano l'effetto di minerali, vitamine, carboidrati sulla degenerazione degli organi; di rassegne epidemiologiche che illustrano quali popolazioni vivono più a lungo e ne scandagliano le norme alimentari; di strumenti diagnostici sofisticati in grado di vedere come i diversi organi reagiscono alle diverse sollecitazioni alimentari. Apprendiamo così, studi clinici alla mano, che le fibre proteggono dal cancro e dall'alzheimer; o, grazie all'epidemiologia, che popoli nutriti con molto pesce soffrono meno di malattie cardiovascolari, oppure, osservando i flussi dell'insulina, impariamo a conoscere il complicato puzzle del metabolismo degli zuccheri. Così apprendiamo con precisione cosa accade nel nostro organismo quando scegliamo una pietanza piuttosto che un'altra. E su questa base la scienza ci indica quali sono gli errori più diffusi e come correggerli.

Spiega Ottavio Bosello, geriatra, nutrizionista e presidente della Società Italiana di Obesità: «La parte del leone nella dieta degli italiani la fanno gli alimenti di origine animale, ricchi soprattutto di grassi e poveri di sali minerali e vitamine, proprio di ciò che è più utile al nostro benessere di cui, invece, sono ricchi i carboidrati complessi (pane, pasta, riso, verdure)». Prima grande assente sulle nostre tavole dunque è la fibra. «È il principale costituente delle feci», ricorda Bosello: «Se manca, il primo disturbo è la stipsi. E stipsi significa quasi inevitabilmente emorroidi. Ma la più prolungata sosta delle feci nel colon facilita anche l'assorbimento di eventuali sostanze cancerogene da parte delle pareti intestinali. Infine l'accresciuta pressione all'interno del lume può causare la formazione di diverticoli, che vanno soggetti a infiammazioni, talvolta anche a perforazioni». Non solo: per ovviare al problema, gli italiani abusano di lassativi col risultato di far venir meno col tempo le funzioni fisiologiche dell'intestino. A questo si aggiunga che gran parte dei lassativi funzionano richiamando acqua: ne deriva la perdita di alcuni sali e fra questi il potassio, con conseguenti danni al rene.

Ma non è tutto. La fibra ci obbliga a un esercizio muscolare sempre meno praticato di questi tempi frenetici: la masticazione. E più si rumina più ci si sente sazi, quindi si è portati a mangiar meno. Stesso effetto nello stomaco, dove la fibra fa volume, la dilatazione distende le pareti e provoca la secrezione di un ormone, la colecistochinina, che agisce sul cervello spronandoci ad alzarci da tavola senza esserci ingozzati. Se si mangia poca fibra, quindi, si mangia anche di più.

Ancora: il duodeno effettua una parziale digestione degli alimenti prima di metterli a disposizione dell'intestino per il loro assorbimento. Questo processo è favorito dalla presenza di fibra: se manca si verificano più facilmente quei picchi iperglicemici con conseguenti rappresaglie di insulina, che vengono associati sempre più spesso a gravi patologie metaboliche e cardiovascolari. Mentre se sono i lipidi a essere assorbiti troppo rapidamente in carenza di fibra, essi giungono al fegato senza essere stati elaborati, il che li rende di gran lunga più dannosi.

Di fibra non ce n'è una sola. Nei cereali abbonda, sotto forma di crusca, quella che ha più potere meccanico e che viene spesso distrutta nella lavorazione delle farine destinate alla pasta doppio zero o eliminata dal pane per renderlo bianco. L'altro tipo di fibra ha funzione più metabolica ed è contenuta nella frutta. Sotto forma di pectina ha la funzione di rallentare l'assorbimento degli zuccheri semplici, presenti in quantità. Si trova soprattutto nella buccia e viene distrutta dalla frullatura. Altrettanto ricchi di fibra sono i legumi, alimenti fra i più completi presenti in natura: contengono proteine, lipidi, carboidrati, vitamine e sali.

«Nella nostra dieta non possiamo fissarci solo su alcuni alimenti, per quanto preziosi. Le sostanze utili al nostro organismo», afferma Bosello, «sono tante e variamente distribuite. Dobbiamo evitare che alcune siano escluse dalla nostra alimentazione. Sono proprio le diete troppo ripetitive e monotone che, al giorno d'oggi, provocano le più diffuse carenze alimentari». Come sanno bene i forzati delle diete fai-da-te o prescritte da incompetenti. «Diete sbagliate, che tolgono qualche chilo ogni volta per restituirne, poi, qualcuno di più. Chili che, via via, portano all'obesità, spesso accompagnata da carenze nutrizionali. Carenze di microalimenti, in particolare, carenze tanto più pericolose perché non si manifestano rapidamente in modo conclamato, ma subdolamente e in tempi lunghi. Si fa sempre più strada, ad esempio, la convinzione che certi mal di testa , certi mal di pancia, certe febbri cui non si riesce a dare spiegazioni siano proprio causate da carenze di microalimenti nella dieta», aggiunge il nutrizionista.

Fra questi, il calcio, che si trova nel latte e nei latticini, in pesci e molluschi, come l'acciuga, il polpo, il dentice e la sarda, nei cavoli e nel radicchio verde, nella frutta secca, nelle arance e nei fichi. È un minerale prezioso per le ossa che già dopo i vent'anni cominciano a perdere progressivamente consistenza. Se è insufficiente nella dieta, e tanto più se la carenza si associa a situazioni particolari come la menopausa e la sedentarietà, il risultato è spesso una conclamata osteoporosi.

Alle carenze di microalimenti provocati da diete dissennate si risponde con un'altrettanto dissennata passione per gli integratori che affollano i banconi delle farmacie. «Nel caso del calcio questo è possibile», spiega Bosello, «perché si tratta di un minerale facilmente assorbibile. Purtroppo non esistono dimostrazioni scientifiche dell'efficacia. Quel che è peggio, di molti integratori non esistono dimostrazioni neanche della loro innocuità. È sempre più saggio attingere alle risorse che ci offre la natura, senza rischiare di alterare equilibri preziosi dentro e fuori di noi».

Come dimostra la storia dei fumatori: tra quelli che avevano un elevato livello di beta carotene nel sangue gli epidemiologi hanno constato una minore incidenza di tumori polmonari. Il beta carotene è uno dei 400 e più carotenoidi precursori della vitamina A, importante antiossidante, così gli scienziati hanno provato a somministrare forti dosi di beta carotene a un certo numero di fumatori incalliti mentre ad altrettanti è stato somministrato un placebo. Dopo un paio d'anni l'esperimento è stato bruscamente interrotto dalle autorità sanitarie perché i soggetti cui era stato somministrato il beta carotene erano stati colpiti da tumore assai più degli altri. Cosa era accaduto? Spiega Bosello: «Che, probabilmente, l'alto tasso di questo precursore della vitamina A aveva inibito l'assorbimento degli altri carotenoidi, alterando un equilibrio che aveva proprio in sé benefici effetti antitumorali. Benefici, quanto imperscrutabili: ecco perché è meglio affidarci alla natura e alle risorse che ci offre».

Altra carenza alimentare piuttosto frequente riguarda il ferro, che pure è assai diffuso: nei cereali integrali come nelle verdure e nei legumi. Ma anche qui, per una giusta razione, occorre un concorso di fonti diverse: chi ha un suo rigido menù e non se ne sa staccare corre il rischio di andare in rosso con questo prezioso microelemento. Pure in questo caso è soprattutto questione di condizioni concomitanti: se, infatti, ciò coincide con copiose perdite di sangue (si tratti di abbondanti mestruazioni o ulcere a lungo sanguinanti) un'anemia può facilmente instaurarsi. Causa anemia, d'altronde, anche la carenza di vitamina B 12: avviene spesso nella dieta dei cosiddetti Vegani, di coloro, cioè, che si nutrono esclusivamente di vegetali (la B12 è presente solo nei cibi di origine animale).

La mancanza di folati nella dieta può originare grossi guai. Il nome lo dice: sono presenti soprattutto nei vegetali a foglia verde come lattuga e spinaci, nelle arance e nei legumi. La loro mancanza, spesso associata a quella della B12, favorisce l'insorgenza di anemie e determina l'aumento di una sostanza nel sangue, l'omocisteina, che danneggia le pareti delle arterie, grandi e piccole. Il danno clinico più frequente è la demenza. Negli Stati Uniti se ne sono preoccupati al punto che, da tempo, a tutti i prodotti a base di cereali vengono associati i folati.

A tavola inizia anche la prevenzione dei tumori. Molte sostanze favoriscono il processo di danneggiamento cellulare che porta alla formazione di neoplasie. Ma molte, anche, possono prevenirlo.

Tra le prime: amine eterocicliche, acrilamine, nitrosamine, aflatossine. La ragione la spiega Franco Berrino, direttore della divisione di Epidemiologia del'Istituto nazionale dei tumori di Milano: «Le amine eterocicliche si formano nella cottura della carne a temperature molto elevate (sulla piastra, ad esempio, e al barbecue), le acrilamine quando a essere cotti ad alta gradazione sono i carboidrati (patatine fritte, certi pani industriali). Le nitrosamine, invece, quando vengono a contatto di aminoacidi e nitriti (è il caso di alimenti conservati, come i salumi, ma anche di certe paste ripiene in cui si mischiano, ad esempio, formaggi e spinaci); le aflatossine, infine, sono dovute a contaminazioni fungine e si riscontrano più facilmente in alimenti che provengono da paesi tropicali. Si tratta di sostanze cancerogene sugli animali da esperimento. Temiamo che possano avere lo stesso effetto anche sull'uomo».

Accanto alle sostanze che inducono cancerogenesi ci sono quelle che la prevengono. «L'attacco al Dna che è all'origine delle neoplasie, infatti, richiede processi di ossidazione. Ben vengano sulle nostre mense tutte le verdure possibili, con il loro carico di antiossidanti, come carotenoidi, vitamine C ed E, polifenoli, capaci di contrastare l'insorgenza di tumori ai polmoni, all'esofago e allo stomaco», aggiunge Berrino. Non finisce qui: nelle crucifere, per esempio cavoli e rape, sono presenti sostanze attivatrici di enzimi chiamati di Fase 2 che facilitano l'eliminazione di molte sostanze cancerogene di provenienza ambientale; ancora, nei vegetali a foglie scure, nel germe di grano, nei broccoli troviamo l'acido folico, ottimo riparatore del Dna danneggiato, quindi utile anticancro.

Berrino punta poi l'indice su ormoni sessuali e fattore di crescita Igf1 prodotto dalle cellule sotto lo stimolo dell'ormone della crescita ed essenziale negli anni dello sviluppo: «Quanto è più alto il loro livello nel sangue, tanto più cresce il rischio di ammalarsi di tumore della mammella, della prostata, dell'ovaio e dell'intestino. E la loro concentrazione dipende dall'insulina che stimola la produzione degli ormoni sessuali da parte dell'ovaio. Non solo: rallenta nel fegato la produzione di alcune proteine, le Shgb, che temperano proprio l'azione degli ormoni sessuali (tant'è che si è riscontrata una minore insorgenza di tumori della mammella in donne il cui tasso di Shgb è elevato). Ed è sempre l'insulina a fare aumentare nelle cellule i recettori per l'ormone della crescita, quindi la produzione dell'Igf1».

L'insulina si tiene a freno privilegiando i cereali integrali, arricchendo la nostra mensa di legumi e verdure, limitando l'assunzione di zuccheri, grassi animali e farine raffinate. Prosegue Berrino: «Cereali integrali e legumi contengono i cosiddetti fitoestrogeni che sembra limitino la produzione degli ormoni sessuali e, prendendone il posto, ne contrasterebbero anche l'azione. Sono i fitoestrogeni: gli isoflavonoidi, tipici della soia, i lignani, di cui sono ricchissimi i semi di lino ma anche cereali e legumi, infine alcuni indoli presenti nelle rape e nei cavoli».

Diete… no grazie!!!

di Luciana Baroni

Le regole principali per vivere in buona salute sono state ormai chiaramente definite. Chi desideri infatti ridurre al minimo, se non abbattere totalmente, le “interferenze” della malattie, in particolare di soprappeso-obesità, sulla propria qualità di vita, dovrebbe scegliere di non fumare, ridurre o eliminare le bevande alcoliche e le bevande dolci bevendo almeno 1.5 litri di acqua pura al giorno, fare un po’ di attività fisica (almeno una camminata di mezz’ora al giorno) e mangiare cibi sani che aiutino a tenere controllato il peso.

Quali sono i cibi sani?
I cibi sani sono quelli che contengono sostanze che influenzano positivamente il peso corporeo e la salute. Possiamo raggruppare questi cibi in 4 grandi gruppi:
1-VERDURA: All'interno di questo gruppo, che comprende cibi di molti colori, forme e sapori, possiamo isolare 4 principali sottogruppi: le verdure verde scuro (fonti particolarmente ricche di fibre, acido folico, riboflavina, vitamina A (beta-carotene), vitamina C, vitamina E e vitamina K, potassio, calcio, ferro e magnesio, sostanze fitochimiche), le verdure giallo-arancio (fonti privilegiate di beta-carotene, una vitamina a potente azione antiossidante), le verdure amidacee, e tutte le altre verdure.
La verdura va utilizzata anche al di fuori dei pasti principali, per spuntini, consumandola sia cruda che poco cotta, senza olio o salse, e limitando il consumo di patate o altri tuberi.
2-CEREALI: derivano dal chicco della spiga e sulla base del grado di trasformazione al quale vengono sottoposti, possono essere suddivisi in 2 sottogruppi principali: I cereali raffinati, che hanno perso gran parte delle sostanze benefiche che conteneva il chicco, e inoltre possono contenere sostanze aggiunte dannose. I cereali integrali, che contengono invece l'intero patrimonio nutritivo del chicco, ricche fonti di fibre, vitamine e minerali e che per questo motivo vanno privilegiati.
3-LEGUMI: sono la fonte primaria di proteine all'interno del Regno vegetale: il contenuto medio di proteine di 100 g di legumi secchi non ha infatti nulla da invidiare al contenuto medio in proteine di 100 g di carne cruda. Forniscono anche altri importanti nutrienti come ferro e zinco, e sono un'eccellente fonte di fibre e acido folico, spesso molto scarsi in una dieta onnivora.
4-FRUTTA: è un cibo ricco di fibre e sostanze fitochimiche e inoltre un'ottima fonte di acido folico, beta-carotene, vitamina C e potassio. E’ preferibile NON usare succhi di frutta pronti o altri tipi di spremute o centrifugati, anche se preparati in casa, non utilizzare la frutta sciroppata o candita ma sempre e solo frutta fresca intera a pezzi!!!

ESEMPIO GENERICO DI MENU’ BASE

Colazione
1 caffè d’orzo senza zucchero o tisana (eventuale dolcificante), oppure latte vegetale
Pane integrale con marmellata senza zucchero o crema di frutta secca

Spuntino mattino
1 frutto intero

Pranzo
Insalatona di verdure miste
Legumi lessati
Un piattone di verdura cotta
Pane integrale

Spuntino pomeridiano
1 frutto intero
1 yogurt di soia

Cena
Insalatona di verdure miste
Pasta o riso
Un piattone di verdura cotta
pane

Spuntino prima di andare a letto:
1 frutto intero
Una manciata di frutta secca

Acqua pura: 1.5 litri minimo
Controllare la quantità di olio, sale, salse
Per condire preferire aceto, limone e spezie
Camminare almeno 30 minuti al giorno a passo spedito

Durante la giornata chi venga preso dalla fame può concedersi degli snack con verdura cruda (carote, sedano, finocchi, eccetera) conditi con limone, ma . MAI restare con a fame!!!

Va tenuto sempre presente che non è possibile raggiungere e mantenere in modo stabile il peso corporeo sano senza modificazioni permanenti dello stile di vita, in particolare dell’attività fisica e dell’alimentazione.
Quanto mangi e i cibi che scegli di mangiare, come pure la quantità e il grado di attività fisica che riesci a praticare, influenzano la tua salute e sono in grado di determinare non solo il tuo benessere di oggi ma soprattutto quel che sarà la tua vita futura in termini di salute e quindi soddisfazione personale.
Questi brevi consigli sono uno dei tanti modi con cui puoi capire come cominciare a modificare in meglio le tue abitudini sbagliate. Comincia a fare quello che ti senti di riuscire a fare: non temere, se comincerai a sentirti meglio, sarai tu stesso che proseguirai nell'inseguire uno stile di vita più sano, e riuscirai a trovare soluzioni ed idee originali per conciliare i tuoi impegni con le tue nuove abitudini!
E se capisci come fare, non avrai più bisogno di nessuna dieta!!

L'obesità può ridurre la durata della vita anche di 20 anni

Fonte: JAMA 2003;289:187-193.


I risultati di uno studio statunitense pubblicate sul numero dell'8 Gennaio del Journal of the American Medical Association, indicano che, in media, l'obesità può accorciare di più di 10 anni la vita di una persona; agli uomini di colore, addirittura, può abbreviarla anche di 20 anni.

Le scoperte supportano l'idea che l'eccesso di peso corporeo sia un problema per la salute, e dovrebbe stimolare i medici e i funzionari della sanità pubblica a raddoppiare gli sforzi per arginare la crescente epidemia di obesità. "L'eccesso di peso non ha ricevuto la stessa attenzione da parte dei medici e dei funzionari della sanità pubblica di altri fattori che minacciano la salute, come l'uso di tabacco, l'ipertensione, o l'ipercolesterolemia," scrivono in un editoriale di accompagnamento JoAnn E. Manson e Shari S. Bassuk, del Brigham and Women's Hospital di Boston. "Non è sorprendente che i tassi di obesità continuino a crescere." I risultati mostrano che "l'obesità ha un importante effetto sulla durata della vita," dichiarano l'autore dello studio, David B. Allison, della University of Alabama di Birmingham, e i suoi collaboratori. Secondo il report, l'obesità è particolarmente pericolosa per i giovani. Gli uomini bianchi gravemente obesi, di età compresa tra i 20 e i 30 anni, vivono circa 13 anni in meno degli altri individui della popolazione generale. Le donne bianche gravemente obese hanno un'aspettativa di vita di 8 anni più breve rispetto alle loro controparti non-obese. L'obesità ha anche un importante effetto sulla durata della vita dei giovani di colore. I giovani di colore obesi, tra i 20 e i 30 anni, perdono circa 20 anni e le donne obese di colore perdono circa 5 anni di vita, anche dopo aver aggiustato i dati per l'abitudine al fumo. Secondo lo studio basato sui dati di osservazione nazionale, gli adulti bianchi con un indice di massa corporea (BMI) da 23 a 25 e gli adulti di colore con un BMI da 23 a 30 sono vissuti più a lungo. I risultati quantificano i rischi sanitari associati all'obesità, specialmente per i giovani e gli adulti di mezza età. I ricercatori avvertono che, poichè circa due terzi della popolazione adulta degli USA è in sovrappeso od obesa, queste scoperte predicono una crisi sanitaria in evoluzione. Gli autori richiedono ulteriori studi, particolarmente sulle apparenti differenze razziali osservate. Nondimeno, questi risultati "confermano che l'obesità è uno dei più gravi problemi di sanità pubblica che sembra diminuire marcatamente l'aspettativa di vita, specialmente tra le persone nei più giovani gruppi d'età," come concludono il Dr. Allison e i colleghi.

Chiamalo come vuoi, io lo chiamo amore - Sazi, sani & salvi con i cibi vegetali

di Luciana Baroni

Presentazione dell'intervento al convegno
"La salute negata"
Bari, 26-27 ottobre 2007

Il programma del convegno
Blog con commenti al convegno

Nella Foto: Luciana Baroni con Pino Africano, organizzatore e moderatore del convegno

Le raccomandazioni alimentari in grado di fornire i migliori consigli per mangiare sano devono essere costruite sull’evidenza scientifica derivante dagli studi che hanno indagato i rapporti tra dieta e salute, e contestualmente devono essere esenti da conflitti di interesse di ogni sorta.



Abbiamo ormai a disposizione una vasta mole di ricerche, iniziate alla metà dello scorso secolo, sugli effetti di una dieta a base vegetale sulla salute. E’ importante sottolineare che, se all’inizio gli studi si focalizzavano sui rischi di carenza, nel corso dei decenni, e soprattutto negli ultimi 10-20 anni, il focus della ricerca si è sempre più incentrato sugli effetti di questi cibi, e dei nutrienti in essi contenuti, nella prevenzione e nel trattamento delle principali malattie croniche.

In sintesi, la ricerca attuale evidenzia che i vegetariani hanno un rischio ridotto di molte malattie croniche, quali soprappeso-obesità, ipercolesterolemia, ipertensione e diabete mellito, nonché una ridotta mortalità per cardiopatia ischemica rispetto ai controlli non-vegetariani. Un miglioramento di queste condizioni è stato inoltre ottenuto sui pazienti in studi clinici controllati che utilizzino interventi con diete a base vegetale.

In vasti campioni di popolazione generale, al pari, si conferma come il consumo di cibi vegetali risulti protettivo nei confronti di molti tipi di cancro, malattie cardiovascolari, diabete mellito e mortalità totale, condizioni che appaiono invece favorite dal consumo di cibi animali.

Tutti i cibi vegetali risultano protettivi per la salute, ma non è noto che in minima parte quali siano i nutrienti utili in essi contenuti, ai quali sia da riferire questa azione. Pur essendo un’illusione ben incentivata dal mercato fiorente degli integratori, è demenziale pensare di poter assemblare quei pochi nutrienti protettivi noti e ottenere gli stessi benefici dati dai cibi che li contengono. Infatti, nessun integratore ha dimostrato di riuscire a ottenere questo risultato, non solo, in alcuni casi questa illusione si è rivelata un vero boomerang e ha causato esattamente l’effetto contrario a quello atteso. Sono i cibi vegetali nella loro interezza a essere indispensabili per il mantenimento della salute, non alcuni dei loro “ingredienti”!

Sappiamo inoltre per certo che i cibi animali non sono necessari ma che soprattutto, alle dosi nelle quali vengono raccomandati, e ancor peggio, alle dosi ancora superiori alle quali vengono mediamente assunti, danneggiano il nostro organismo.

Ecco quindi come sostenere l’importanza di una dieta a elevato o esclusivo contenuto di cibi vegetali nelle raccomandazioni nutrizionali sia una posizione in linea con le conoscenze scientifiche attuali e, perché no, un atto d’amore verso un prossimo la cui salute è sempre più messa a rischio da informazioni la cui mancata fondatezza è già stata, ampiamente, dimostrata: solo che nessuno lo deve sapere.

Costretta dalla totale assenza di indicazioni da parte degli organismi ufficiali del nostro Paese, Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana-SSNV ha formulato una proposta di Linee Guida per un’alimentazione equilibrata e sana a base vegetale, raccolte sul sito web http://www.vegpyramid.info/.



Sulla base di quelle che sono le indicazioni delle più prestigiose e qualificate associazioni e istituzioni che si occupano di alimentazione vegetariana, anche la VegPyramid raccomanda di costruire la dieta su abbondanti quantità e varietà di cibi vegetali, distinti in gruppi alimentari.

Cereali integrali, legumi, frutta secca e altri cibi ricchi di proteine (come i derivati della soia e del glutine di frumento), verdura, frutta e piccole quantità di oli vegetali scelti con attenzione, privilegiando le fonti vegetali di omega-3 come l’olio di semi di lino e di soia, nonché il consumo regolare di cibi ricchi di calcio e di fonti affidabili di vitamina B12, sono in grado di fornire una dieta equilibrata e adeguata, nel contesto della quale l’eventuale consumo di cibi animali indiretti, come latte e uova, non è essenziale.

Questo tipo di indicazioni potranno essere utilizzate come base anche da chi non voglia rinunciare completamente ai cibi animali, ma stia acquisendo la responsabilità della propria salute: una dieta onnivora, infatti, per essere sana deve essere costruita su larghe varietà e quantità di cibi vegetali naturali, da utilizzare per dare “il senso” al piatto, riservando i cibi animali alla stregua di “spezie”, che in piccole quantità daranno quel sapore a cui molti, per abitudine acquisita, non sanno o non vogliono rinunciare.

Vegani e immortalità

di Luciana Baroni

Vorrei approfittare dell’attenzione sincera e partecipe dei media nei confronti delle disgrazie che affliggerebbero i vegani a causa della propria scelta dietetica -e che mi auguro siano solo la conferma di una realtà che comincia ad essere tangibile, cioè l’esistenza ormai indiscussa di un buon numero di vegani-, per proporre alcune riflessioni:.

La probabilità che un qualunque evento accada, in termini percentuali, va da 0 a 100. Assumendo che in biologia il rischio 0 assoluto e 100 assoluto non esistono, possiamo dire che quando si valuta il rischio di un evento biologico, questo può spaziare in un intervallo che va da 0 a 100.

Per quanto riguarda il concetto di rischio, quindi, non ci sarà nulla in grado di assicurare la totale incolumità o al contrario la certezza che si verifichi un dato evento, ma si potrà distinguere tra fattori che, dato un certo rischio stimato, sono in grado di influenzarlo positivamente (cioè di aumentare quel rischio) o negativamente (cioè di ridurre quel rischio). Per capirsi, Se è vero che la carne “fa venire” il tumore intestinale, non tutti i carnivori verranno colpiti da questo tumore ma qualche vegano potrebbe invece venirne colpito.

Nessun fattore di rischio però può essere valutato da solo, e per questo esistono delle procedure di elaborazione statistica che permettono di valutare il peso di ciascun fattore di rischio, svincolandolo dall’effetto degli altri fattori di rischio coesistenti.

Lo stesso ragionamento vale per la frequenza di comparsa di un evento, nel caso specifico una data malattia o la morte. Ci troviamo a dover sempre fare i conti con il numero di persone che si ammalano di quella data malattia o muoiono, che viene espresso come numero di soggetti o percentuale sulla popolazione totale in un certo periodo di tempo.

Anche in questo caso, se un evento si verifica in una certa popolazione, è possibile poi studiare quali sono i fattori che potrebbero essere responsabili di quell’evento. In questo caso, nei soggetti portatori di un dato fattore di rischio, l’evento dovrebbe verificarsi con una frequenza aumentata (se il fattore di rischio è positivo) o ridotta (se il fattore è di rischio negativo), rispetto alla popolazione generale (ad esempio gli abitanti di una nazione o di una regione) o di un gruppo di soggetti definiti come “di controllo”, che non sono portatori dei quel fattore di rischio.

Poiché la cosa detta così può apparire complicata, veniamo ad un esempio pratico, relativo al tema che ci interessa, cioè l’influenza della dieta sulla salute. Gli studi scientifici condotti su vegetariani evidenziano che questo persone hanno un rischio ridotto di sviluppare alcune malattie e che tra i vegetariani ci sono meno persone ammalate di queste stesse malattie croniche. Nella popolazione generale, quando stratificata sulla base dei consumi, queste stesse malattie appaiono favorite (cioè il rischio è aumentato) in chi consuma elevate quantità di cibi animali e in chi consuma basse quantità di cibi vegetali, in confronto a chi si trova nella fascia di consumo all’estremo opposto. Questo non vuole dire però assolutamente che chi è vegetariano o chi mangia tanti vegetali avrà la certezza matematica di non ammalarsi mai di quella malattia, così come nei carnivori o in chi mangia pochi vegetali ci saranno pure persone che non se ne ammaleranno.

Il fatto di conoscere una persona che fuma e che è morto in di vecchiaia, non significa che il fumo faccia bene o che chi fuma non rischi di morire per le conseguenze del fumo: 1 fumatore su 2 infatti muore a causa di questa abitudine. Questa è sostanzialmente la differenza tra aneddotica e scienza: chiunque può anche farsi delle convinzioni sulla base dell’aneddotica, ma di fronte alla scienza dovrebbe prendere atto che la realtà può essere un’altra e rivedere con umiltà ed onestà queste convinzioni.

Prendiamo adesso, dopo questa lunga ma necessaria premessa, l’ultimo fatto di cronaca: La morte di un bambino figlio di vegani in USA.

Pur essendo la morte di questo bambino non riferibile alla dieta bensì alla criminale incuria dei genitori, ipotizziamo pure che un certo numero di bambini vegani siano morti nel primo anno di età in un certo periodo di tempo, e vediamo come valutare l’evento, facendo il caso dell’Italia, di cui possediamo dati certi, e facendo presente quanto detto all’inizio, e che cioè quando un dato evento si verifica nella popolazione, nessuno ne è al riparo con una sicurezza del 100%.

Ora, utilizzando cifre “tonde”, vediamo che in Italia ci sono 60 milioni di persone: i vegetariani sono 6 milioni e tra questi i vegani 600 mila, il che permette di trasformare questi numeri in un 1% di vegani, 9% di vegetariani e 90% di carnivori nella popolazione italiana. Questo significa che, per qualunque evento si verifichi nella popolazione italiana, mi devo attendere che questo evento, se la dieta non ha nessuna influenza su di esso, dovrebbe essere così distribuito nei 60 milioni di italiani:

-90% in carnivori
-9% in vegetariani
-1% in vegani

a semplice titolo di esempio, se in Italia ogni anno 1000 persone vengono infestate da pidocchi, mi devo attendere che avrò circa:

-900 carnivori
-90 latto-ovo
-10 vegani

infestati da pidocchi ogni anno.

Se invece di 10 vegani, questi fossero ad esempio 5, una volta esclusa l’influenza di altre condizioni favorevoli, potrò dire che la dieta vegana protegge dai pidocchi. Se poi i vegani colpiti da pidocchi fossero 1 all’anno, potrei affermarlo ancora con più forza. Quello che invece paradossalmente di solito avviene, è che viene trasformato in una conclusione completamente opposta: siccome c’è 1 solo vegano che viene colpito dai pidocchi, allora è colpa della dieta!

Tornando ai fatti reali, prendiamo l’evento morte infantile nel primo anno d’età, cioè il numero di bambini che muoiono sotto l’anno d’età. Bene, in Italia ogni anno muoiono 2350 bambini (pari al 4.7 per mille dei nati, che sono 500 mila bambini), per cause diverse: morti bianche, infezioni, malattie congenite, traumi, violenza e maltrattamento, eccetera. Poiché si tratta di bambini che saranno figli sia di carnivori, che di vegetariani e di vegani, dobbiamo considerare la morte colpirà questi bambini secondo quella che è la distribuzione di carnivori, vegetariani e vegani nella popolazione italiana, quindi (senza decimali):

-90 % saranno figli di carnivori, cioè 2115 bambini morti ogni anno
-9% saranno figli di vegetariani, cioè 211 bambini morti ogni anno
-1% saranno figli di vegani, cioè 23 bambini morti ogni anno

Cioè dobbiamo attenderci ogni anno la morte di circa 23 bambini figli di vegani, entro il primo anno di vita in Italia. Questo significa che solo se in un anno ne muore una cifra superiore (e con significatività statistica), ci si deve preoccupare e valutare quale sia il peso di differenti variabili, tra cui anche la dieta, su questo aumento di mortalità.

A questo punto spero che la mistificazione sia evidente a tutti senza nemmeno bisogno di spiegarla: La morte di 1 bambino (ma fossero anche 5-10) appare essere un evento al di sotto della cifra prevista. La morte di 1 solo bambino è un evento così raro, che salta agli occhi proprio per la sua eccezionalità, e nonostante questo il significato che si da all’evento è l’esatto opposto: la dieta vegana fa morire i bambini!!!

Non aggiungo nient’altro, spero di essere stata sufficientemente chiara e di aver contribuito a rassicurare chi, anche solo per un attimo, era caduto nella trappola mediatica, architettata ad arte da chi trae profitto dal riempire gli ospedali di malati cronici, la cui vita potrebbe essere assolutamente migliore se fossero stati ben consigliati ed educati.

La dieta vegana non può purtroppo assicurare l’immortalità o l’assenza di malattia ma protegge in modo significativo nei confronti di molti eventi negativi. Mi pare una ragione più che valida per non rinunciare!!!