Nelle
ultime settimane è girata come un incessante tam-tam la notizia di un nuovo
studio "choc", condotto da alcuni ricercatori austriaci, che nell’immaginario
dei giornalisti "ribalterebbe" l'attuale stato delle conoscenze sulla
buona salute dei vegetariani, dimostrando inequivocabilmente che questa non sarebbe
poi così buona, ma che in verità sarebbe invece pessima. I vegetariani esaminati
in questo studio risulterebbero infatti di salute più cagionevole, ricorrendo
maggiormente a farmaci, dei soggetti non-vegetariani esaminati dai ricercatori.
Peccato
però che, sapendo ben leggere e possedendo il raro attributo dell’onestà
intellettuale, al di la del titolo e delle prime righe dell'abstract, il reale
contenuto dello studio in oggetto ne sveli l'assoluta inconsistenza. Si tratta
infatti di poco più di un sondaggio, in cui gli intervistati auto-riferivano i
dati raccolti, compreso il fatto di essere vegetariano o meno, dato questo che negli
studi seri viene invece valutato sulla base di questionari alimentari. Nessuno
dei dati raccolti è stato oggetto di alcun controllo da parte dei ricercatori, non
è stato raccolto alcun dato sulla composizione nutrizionale delle diete e, fatto
ben più importante in termini di validità dello studio, si tratta di una
analisi cross-sectional, cioè trasversale.
In
uno studio trasversale viene “fotografata” la situazione in un dato momento
della vita della persona, e si ricercano eventuali associazioni tra le
variabili esaminate. Questo tipo di analisi ha però un limite intrinseco, che
cioè NON è in grado di stabilire un rapporto di causa-effetto tra le variabili
che risultano tra loro associate: anche se le modalità di raccolta dei dati
fossero state rigorose (e non è questo il caso), il fatto che si tratti di uno
studio trasversale non permette di stabilire alcun nesso di causalità nell’associazione
tra vegetarismo e malattia: il vegetarismo è causa di malattia? essere malati
porta ad adottare un regime vegetariano? Altri fattori, diversi da questi, fanno
risultare questa associazione che di fatto non esiste?
Qualunque
sia la risposta, è tuttavia probabile che i risultati siano frutto uno scherzo
del caso, dovuto oltre alla criticità nella raccolta dei dati, anche allo
scadente metodo dello studio: all’interno di un vasto campione di circa 15.500
soggetti, era presente uno sparuto gruppo di circa 300 “vegetariani”, tra i
quali la maggioranza consumava pesce, che sono stati messi a confronto con circa
1.000 non-vegetariani, scelti dai ricercatori tra circa i 15.000 non-vegetariani
partecipanti al sondaggio. Un campione totalmente squilibrato.
Queste
sono probabilmente le ragioni per cui i risultati di questo studio non sono in
sintonia con i dati scientifici prodotti da circa 60 anni di studi sui
vegetariani. Centinaia di migliaia vegetariani sono stati esaminati da ricercatori
di più parti del mondo: i ricercatori hanno reclutato soggetti sani
all'ingresso nello studio, che hanno seguito per decenni, ne hanno registrato
con scrupolo le abitudini alimentari, lo stato di salute a partire da dati
sanitari (ricoveri, registri di malattie) e non da interviste, e isolanto nel
tempo coloro che avevano sviluppato una data malattia. Questi ultimi sono poi
stati raccolti in gruppi distinti per tipo di malattia, e i ricercatori hanno
analizzato i possibili fattori correlati con quest’ultima, traendo delle
conclusioni sui rapporti reciproci. Solo un rapporto che si confermi come statisticamente significativo viene preso in considerazione e il fattore correlato con la malattia viene classificato come
fattore di rischio, se aumenta nel tempo il rischio di sviluppare quella
malattia, o fattore protettivo, se lo riduce.
Questo
tipo di studi, che si chiamano prospettici proprio perché seguono nel tempo,
per molti anni, molti soggetti, hanno una elevata forza dell'evidenza (a
differenza di quelli trasversali): questo significa che i loro risultati sono
in grado di dare informazioni attendibili su quali dei fattori associati sono
legati da un rapporto di causa-effetto.
E i dati
che derivano questi studi, condotti in più parti del mondo, evidenziano come,
grazie alla loro dieta, i vegetariani tendano ad avere una miglior sensibilità
all’insulina, ridotti tassi di tumore, diabete mellito di tipo 2, obesità,
ipertensione, morte e ospedalizzazione per cardiopatia ischemica, e sin
dall’età pediatrica un ridotto indice di massa corporea (BMI), rispetto ai
non-vegetariani. Sono inoltre stati condotti alcuni studi di intervento che
hanno dimostrato l’efficacia terapeutica delle diete vegetariane, a fronte di
una buona accettabilità, sulle malattie metaboliche e cardiovascolari.
Ma tutti questi dati hanno goduto in Italia della radice cubica
della risonanza di cui ha goduto questo nuovo studio, ammesso e non concesso
che ciò sia accaduto. Come mai? Ma soprattutto, come mai un altro studio a
firma degli stessi autori, pubblicato sempre nel mese di febbraio 2014 sulla
rivista Wiener Klinische Wochenschrift (pag. 113-118), e condotto sull’intero
campione di soggetti, non ha avuto alcuna menzione sulla stampa? Forse perché i
giornalisti non avevano i fondi per scaricarsi l’articolo, a pagamento? O forse
perché questo secondo studio porta a conclusioni che sono l’esatto contrario
del primo, riportando che una dieta vegetariana sarebbe associata con un
miglior stato di salute?
I
risultati di qualunque nuovo studio, condotto su un argomento per il quale è
già disponibile una vasta letteratura scientifica accreditata, devono venire
analizzati sulla base di quanto già certo. E se un nuovo studio arriva a
risultati differenti da quelli già ottenuti (situazione che si dice
"priva di consistenza") potrebbe guadagnare l'attenzione del mondo
scientifico e stimolare nuove ricerche sul campo, solo se esso è paragonabile,
come "forza dell’evidenza" agli altri studi con cui viene confrontato.
Non è
questo il caso di questo nuovo studio, che per quanto sinora esposto nulla
aggiunge, nemmeno un minimo di dubbio, alla solida letteratura sulla migliore
salute dei vegetariani, che è l’unica certezza di questo assurdo contenzioso,
espressa anche dalle Linee Guida dietetiche USA, nel capitolo 5 (costruiamo
sani schemi alimentari), dove il pattern vegetariano viene classificato tra i 3
pattern dietetici sani, assieme alla dieta DASH e alla dieta mediterranea.
But,
think pink!!! L'altro verso della medaglia è davvero confortante, in fondo è il
vero trionfo di questa commovente e patetica storia: sbandierare i risultati di
questo studio sostenendo che "ribalta" quanto sinora noto,
rappresenta non uno choc, ma al contrario un endorsement nei
confronti della buona salute dei vegetariani, che ha potuto finalmente essere
menzionata solo per poter sostenere il contrario. Ma la buona salute del
vegetariani è invece, oltre che la premessa su cui si è innescata tutta la
retorica delle ultime settimane, una certezza, che non può essere messa in
discussione da questo "nuovo studio", che ha immotivatamente alimentato
le speranze di coloro che hanno interesse a nascondere la verità, affinché “nulla
cambi”.
Luciana Baroni, MD
Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana - SSNV
www.scienzavegetariana.it
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